“Al sur de las cosas” è la raccolta di poesie tradotta in lingua spagnola dallo studioso Josè M. Carcione
Pasqualino Bongiovanni, noto poeta lametino, si trova in questi giorni in Argentina per la presentazione della sua raccolta di poesie dal titolo “Al sur de las cosas” pubblicata a Buenos Aires in edizione bilingue (italiano-spagnolo) con la traduzione a cura dello studioso argentino José M. Carcione.
L’edizione italiana “A sud delle cose” era stata pubblicata in Italia nel 2006 con la Nota del celebre scrittore veneto Mario Rigoni Stern e la Prefazione di Dante Maffìa.
Abbiamo deciso di raccontare l’esperienza argentina di Bongiovanni, comunicando via mail con il poeta, per “parlare” con lui proprio nel momento in cui sta vivendo in pieno le presentazioni dell’edizione in lingua spagnola del suo libro.
Pasqualino, in questi giorni sei in Argentina per la presentazione dell’edizione spagnola della tua raccolta di poesie. Ci vuoi raccontare come sta andando?
Sì, sono arrivato in Argentina il 13 luglio e rimarrò fino al 13 agosto. Ci sono già state delle presentazioni del mio libro. La prima è stata realizzata il 19 luglio a Buenos Aires nella sede della F.A.C.A., la Federazione delle Associazioni Calabresi in Argentina. Il 21 luglio è stata realizzata una presentazione organizzata dall’Associazione “Sardi Uniti” di Buenos Aires, poi il 27 luglio una presentazione a La Plata organizzata dal Centro Culturale “Bivongesi” e dal Circolo Culturale Calabrese.
Tutte belle presentazioni, con un’accoglienza molto calorosa da parte dei partecipanti che hanno seguito gli eventi con grande attenzione.
I prossimi due appuntamenti, rispettivamente il 1 e il 7 agosto, saranno ospitati dalla Dante Alighieri di Buenos Aires in due sue diverse sedi, quella di Belgrano e quella del centro. Poi l’8 agosto ci sarà una presentazione all’Associazione “Ital Club” di Ramos Mejia (Buenos Aires). Ed ancora, interviste radiofoniche e incontri vari (giornalisti, personalità politiche, etc). Nei giorni scorsi ho incontrato le Madri di Plaza de Mayo: è stata un’esperienza indimenticabile.
C’è una particolare somiglianza tra la nostra cultura meridionale e quella argentina. Ce ne vuoi parlare, raccontandoci magari qualche aneddoto della tua permanenza in questi luoghi?
La prima cosa molto simpatica in realtà mi è successa già all’aeroporto di Madrid, durante l’attesa del volo per Buenos Aires. La mia attenzione viene subito catturata da un bimbo argentino di tre anni (ho chiesto l’età ai genitori), un bimbo vispo e assai vivace che giocava con qualcosa a me molto familiare. Si trattava di una trottola, una di quelle con le quali anche io spesso da bambino giocavo per i vicoli di Sambiase. Soltanto, questa non era di legno, ma di plastica colorata e trasparente. Il bambino la lanciava veramente con grande disinvoltura, si vedeva che era un gioco che gli piaceva e che faceva spesso. Ho chiesto come si chiamasse quel giocattolo in spagnolo, il bambino mi ha risposto quasi con orgoglio: “peonza”; ma i genitori mi hanno spiegato che “peonza” è il nome spagnolo, mentre in argentino si chiama “trompo”. Io ho aggiunto che al mio paese si chiama “strumbulu” e che anche io, quando ero bambino, ci giocavo spesso. So che la trottola non appartiene esclusivamente all’Argentina o all’America Latina, e che in realtà è diffusa in tutto il mondo; tuttavia, osservare quel bambino così piccolo padroneggiare così bene quel giocattolo, e vederlo divertirsi e giocare con piacere, ha richiamato alla mia memoria immagini infantili a me molto care che raramente, ormai, dalle nostre parti riesco a rivedere.
Leggendo i tuoi versi si evince come tutti i Sud del mondo hanno qualcosa in comune.
Sì, è vero, tutti i Sud del mondo hanno qualcosa in comune. Spesso sono le condizioni di sottosviluppo economico di diverse aree del mondo e il caro prezzo che tanti Paesi poveri hanno dovuto pagare per fare il loro ingresso in un sistema capitalistico sfrenato a determinare questi tratti comuni. Oggi, tutte queste aree e queste popolazioni così diverse fra loro è come se facessero parte di una stessa storia, di una stessa condizione di subalternità dalla quale sentono il bisogno di affrancarsi al più presto.
Poi, come ho detto anche in altre occasioni, penso che ogni cosa abbia un suo sud, una prospettiva meno spavalda e sicura, un lato più povero e malinconico da mostrare, un lato forse triste e meno fortunato, ma che proprio per questo merita attenzione. E’ da questo lato che ho scelto di pormi per poter osservare e poi descrivere il mondo che mi circonda. Così, il sud delle cose diventa il sud di un quartiere, di una città, di un paese, del mondo intero. E la questione meridionale si allarga fino a riconoscersi nella questione del terzo mondo e dei paesi poveri.
I protagonisti delle tue poesie sono persone semplici, contadini, gente che soffre, donne…
Sì, si potrebbe parlare di “poesia civile”, o come dicono qui in Argentina di “poesia sociale”. Per intenderci non è la poesia che privilegia facili sentimentalismi, con immagini edulcorate o richiami ad un passato importante. Riconosco la “grandezza” della sofferenza, e penso che nessun altro, all’infuori di chi soffre, in realtà meriti attenzione. I miei protagonisti, pertanto, sono per lo più personaggi umili o che vivono in condizioni di difficoltà.
E ovviamente del tema dell’emigrazione. Tu da poco sei rientrato in Calabria, dopo aver studiato a Roma e insegnato al nord. Ancora oggi si parla di emigrazione, ma un’emigrazione diversa, che a volte comporta un ritorno, proprio come hai fatto tu. Pensi che questo ritorno possa contribuire a rendere migliore la nostra terra? Oppure il pessimismo e la rassegnazione saranno sempre presenti…nonostante tutto?
Il tema dell’emigrazione è un tema a me molto caro. Intanto, perché sono figlio di emigrante (mio padre è emigrato in Svizzera nel 1960), e poi perché anche io ho vissuto sulla mia pelle l’esperienza dell’emigrazione. Certo, come dicevi tu: sono due cose diverse. Io sono partito con una laurea in tasca e per fare l’insegnante; non era così, invece, per chi è partito negli anni ’60 o ancora prima. Qui in Argentina, poi, sto ascoltando diverse vicende direttamente dalla voce dei nostri corregionali che sono venuti in questa parte d’America in cerca di fortuna.
Da decenni anni ormai, la nostra Regione è però interessata da due flussi migratori distinti: ci sono nostri corregionali che partono e stranieri che arrivano. E come tutti gli emigranti, sono accomunati dallo stesso bisogno: migliorare la propria condizione economica e sociale. Purtroppo questa comunanza spesso non riusciamo a vederla. Abbiamo così scarsa memoria dei nostri vecchi emigranti (come i tanti che si trovano ormai radicati qui in Argentina), che soltanto i “nostri” bisogni ci sembrano importanti e prioritari.
Negli ultimi anni (ma non sono un esperto per poterlo affermare con scientificità) ho visto un certo ritorno, soprattutto da parte di chi come me ha studiato e si è formato, magari anche lavorativamente, fuori (nel centro o nord Italia). Per quanto mi riguarda, il ritorno è stato dovuto ad un legame profondo che ho con la mia Terra, e al fatto, non certo irrilevante, che credo nella possibilità di poter vivere pienamente e con dignità anche a Sud. Spero che questa possa diventare un giorno una convinzione comune.
Cosa ti sta dando l’esperienza che stai vivendo dall’altra parte del mondo?
Confrontarsi con un’altra cultura è sempre qualcosa di molto importante. Confrontarsi poi dal punto di vista artistico con un altro mondo e altre culture credo sia un passaggio di notevole importanza per la mia crescita e mi ritengo veramente molto fortunato di poter vivere questa esperienza. Parlo di “altre culture” (al plurale) perché l’Argentina è un Paese multietnico in cui ognuno ha storie ed origini diverse, e Borges è soltanto il poeta più conosciuto, ma non è l’unico. In una presentazione del mio libro, al tavolo dei relatori c’erano: un relatore peruviano, un poeta colombiano, il mio traduttore argentino e io. Sembrava che il confronto fosse tra l’Italia (o meglio la Calabria) e l’intera America Latina. Insomma, una bella sfida, ricca di stimoli interessanti, ma anche di tante gratificazioni.
Per adesso concludiamo la nostra intervista con Pasqualino Bongiovanni. Ma al suo rientro in Italia lo incontreremo nuovamente per parlare ancora con lui dell’esperienza argentina.
CANDIDA MAIONE